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IL PASSATO E’ IN NOI

Post Blog Heidi il passato è in noi

 

Parlando di passato ti racconto alcune storie

Michela e Stefano sono sposati da parecchio tempo. Ogni volta che litigano Michela dice a Stefano di andarsene. Stefano sa che non lo dice sul serio. Anche Michela lo sa. Quando era piccola è stata abbandonata da suo padre. Sua madre si è presa cura di lei, ha trovato un altro padre per Michela al quale lei vuole bene. Qualcosa però, le è sempre mancato. Ora Michela per non essere abbandonata di nuovo, decide di abbandonare lei.

 

Simona è una vita che cerca di perdere peso. Ci riesce per un periodo poi riprende i chili persi. Era una bella bambina. Da piccola era stata molestata. Inconsciamente non vuole apparire bella per il timore di quello che è successo possa ripetersi. In più Simona ha un fratellino che da sempre a tavola faceva i capricci. I genitori spesso dicevano: “guarda Simona come è brava, come mangia”. Quelle parole sono diventate un riconoscimento per Simona. Simona è brava quando mangia. E allora lei mangia…

 

Nicola, che deve prendere una decisione importante nella sua azienda, è cresciuto in una famiglia nella quale veniva premiata la sicurezza, al posto dell’intraprendenza. I suoi nonni avevano fatto la guerra e insegnato ai suoi genitori il valore delle piccole cose: “meglio poco che niente”, “cerca un posto fisso che ti dia un buon stipendio”…Sono voci che sono passate dai nonni ai genitori, alla mente di Nicola ed ora condizionano le sue scelte.

Chi siamo veramente?

Se tutto quello che pensiamo di noi fosse solo un’istruzione, un riparare piccoli e grandi eventi del passato? Se fossero solo una strategia di sopravvivenza?

Oggi ci rendiamo conto quale parte, molto piccola, noi vediamo. Questo ci può far togliere il fiato, ci può far sentire in uno stato di confusione, ma ci rende consapevoli. Non posso riconoscere una cosa che non conosco. Solo quando la riconosco, posso cominciare a cambiare qualcosa, non trovi?

Quello che vediamo è soltanto il nostro passato. Siamo il risultato del nostro passato

Da quando nasciamo acquisiamo informazioni e nozioni. Le acquisiamo in due modi:

  • in modo diretto. Ci viene detto questo è così e questo si fa cosà, fai il bravo, acqua si scrive col “cq”, i bravi bambini fanno così, e via dicendo…
  • in modo indiretto. Sono messaggi impliciti che sono stati soggetti ad una nostra interpretazione. Trai delle conclusioni tu, ma non è detto che siano corrette. (vedi l’esempio sopra di Simona, che interpreta la parola dei genitori come un “sono brava solo quando mangio”)

Francine Shapiro, psicologa e ricercatrice americana, sostiene che il nostro cervello opera continuamente connessioni di cui non siamo consapevoli.

Faccio un esempio. Quando vedo una mela il mio cervello fa tutti gli agganci che ci possono essere, con una mela: è rossa, è dolce, la torta di mele, le mele caramellate, Biancaneve, Adamo ed Eva… Si attivano delle connessioni indirette. Se fossi stata male, dopo aver mangiato una mela, il mio cervello collegherebbe la mela allo stare male ed io farei fatica a mangiarla. Se invece il mio ricordo va a mia mamma che mi metteva una mela nella cartella della scuola, il ricordo sarebbe collegato ad un gesto d’amore.

Vediamo solo i nostri ricordi.

Siamo indirizzati nel modo migliore, dai nostri ricordi?

Mangiare la mela, o no? Godere di un successo, o preoccuparsi che possa essere intaccato da qualcosa che chissà se capiterà?

Certo il nostro passato contiene ottime programmazioni, ma contiene anche programmazioni che non ci sono utili.

La verità è che siamo esseri illuminati che abbiamo il diritto di godere una vita speciale. Se non riusciamo a farlo è perché c’è qualcosa che ci rallenta, a volte, ci blocca proprio.

In tutti quei casi in cui sentiamo un blocco, siamo frenati; diventiamo esperti nell’oscuramento della verità.

In tutti quei casi diamo un giudizio, ci diciamo: “Sono così” e crediamo a quella bugia. E quel “sono” è un grosso limite, una grossa istruzione del nostro cervello.

Robert Dills, uno dei ricercatori più importanti del nostro secolo, ha definito 6 livelli di pensiero della nostra mente. Partendo dal basso, essi sono:

  • L’ambiente
  • I comportamenti
  • Le abilità
  • Le convinzioni ed i valori
  • L’identità
  • La missione, la spiritualità

Ogni cambiamento si ripercuote sui livelli sottostanti, quindi se abbiamo una convinzione del tipo “io sono”, questo si ripercuote su tutti i livelli più bassi, condizionandoli.

Il pensiero sulla nostra identità, è in grado, letteralmente, di plasmare la nostra realtà. In che modo? In un modo molto importante. Riprendiamo l’esempio della mela di prima. Per me la mela non è una mela e basta; il mangiarla dipende da tutte quelle sensazioni nominate prima, dipende dal giudizio programmatico che ho di quella mela. Giusto o sbagliato che sia.

Chi gestisce queste sensazioni?

L’organo che gestisce queste emozioni è l’amigdala. Rappresenta il nostro sistema d’allarme. Esso si accende in caso di una minaccia e manda informazioni alle varie parti del cervello ed il corpo risponde a questi allarmi.

Lo psichiatra Bessel Van Der Kolk, uno dei pionieri della ricerca dello stress post traumatico, nei suoi esperimenti ha scoperto che l’amigdala, dopo un trauma, rimane settata su questo livello per sempre, a meno che non venga ri-settata ad un nuovo livello. Quando si parla di evento traumatico, non si considera un trauma enorme, ma anche piccoli traumi che però vengono vissuti male. Alle volte basta un semplice “no” vissuto, magari da bambini, con un forte disagio, per innescare la reazione dell’amigdala.

Van Der Kolk riporta l’esempio di un uomo che aveva subito un incidente automobilistico. Ogni volta in cui chiudeva gli occhi, egli riviveva le immagini dell’incidente. La scansione del suo cervello rivelò che ogni volta che lui chiudeva gli occhi, si accendeva l’amigdala, come se dovesse esserci ogni volta un nuovo incidente e questo provocava la produzione di tutti quegli ormoni della paura che aveva prodotto al tempo dell’incidente. L’amigdala del paziente non distingueva fra presente e passato. Tutto questo va ad agire su tutto il resto: reazioni e quindi comportamenti, convinzioni, identità, i nostri risultati…

Questi messaggi all’amigdala possono essere indirizzati anche da segnali molto, molto meno traumatici.

Uno studio pubblicato dalla rivista Psycological Scienze nel ’99, dimostrò che i risultati delle donne ad un test matematico venivano compromessi dalla richiesta di indicare il proprio sesso sul test d’esame. In pratica vennero divisi due gruppi omogenei: ad un gruppo venne chiesto di inserire il proprio sesso, all’altro no. Beh, il gruppo al quale veniva chiesto il sesso ottenevano risultati sensibilmente peggiori. Aderivano inconsciamente ad un luogo comune. Questo fenomeno è riconosciuto comunemente con “la minaccia dello stereotipo”.

Bastava un piccolo dettaglio per una risposta diversa…

Ogni minimo elemento dà una risposta biologica ed energetica diversa.

Quando pensi “questo è così” o ”io sono così” ti stai raccontando qualcosa di non esatto. Stai vedendo solo una parte di ciò che succede, stai vedendo solo ciò che il tuo cervello ti propone, di risposta a ciò che hai vissuto e provato.

Quindi riprendendo l’articolo della scorsa settimana, vediamo solo una piccola parte e vediamo solo una parte specifica: il nostro passato.

Non solo vediamo l’esperienza che abbiamo vissuto, ma riceviamo, in modo del tutto inconsapevole, anche tutte le informazioni stereotipiche, ancestrali, archetipiche.

Ogni nostra cellula è un contenitore oleografico di informazioni. Informazioni che si collegano molto, molto indietro nel tempo (fino a sette generazioni) e molto, molto fuori di noi.

In ogni giorno della nostra vita vediamo solo il nostro passato e ci identifichiamo con esso. Come abbiamo visto questo ci causa una serie di reazioni sul nostro comportamento, sui nostri valori, sulle nostre abilità, sui nostri risultati. E se questi pensieri non sono produttivi, il risultato, inutile dirlo, non è produttivo.

La domanda è: perché noi continuiamo a vedere solo una piccola parte di informazioni?

Questo è quello che ci è stato insegnato, ma ora sappiamo che possiamo fare ben altro.

Quando comprendo che vedo solo una piccola parte, sorge spontanea la domanda: cosa posso vedere di più?

C’è un mare infinito di modi di vedere. anche se fino ad oggi, il più piccolo atomo del nostro corpo è stato frutto di condizionamenti. Con la nascita dell’Epigenetica abbiamo scoperto che anche i geni possono essere riprogrammati. Bruce H.Lipton, biologo molecolare di fama mondiale, dice che ciò che modifica la cellula, non è il nucleo, ma l’ambiente in cui vive.

Ritornando a Dills, possiamo facilmente capire che nel modificare l’ambiente in cui viviamo, le notizie che ci arrivano dall’esterno, cambiano i miei comportamenti, mi sono richieste abilità diverse, mi appoggio a convinzioni e valori diversi, perché mi sento diverso ed aspiro ad un fine diverso.

Come fare a scoprire i nostri condizionamenti?

Noi viviamo i nostri condizionamenti ogni volta che giudichiamo.

Un bimbo non giudica. Il nostro potrebbe essere un giudizio giusto, certo. Ma se non lo fosse?

Posiamo l’attenzione su quante volte giudichiamo.

Quante volte, giudicando, stiamo guardando al nostro passato. Lo dobbiamo portare all’estremo, questo concetto, per farlo arrivare nelle nostre cellule.

I nostri pensieri non siamo noi. Sono solo il ricordo del nostro passato.

Una volta capito smettiamo di identificarci con quei pensieri e con quelle emozioni. Ci liberiamo delle catene e scegliamo di avvicinarci a pensieri e azioni che ci portano dove vogliamo veramente.

Quando ci rendiamo conto che il nostro giudizio ci fa vedere solo una piccola parte, quella che abbiamo vissuto fino ad ora, ecco che possiamo imparare a guardare la mela con occhi diversi.

E’ una visone più ricca, non trovi?

Seguimi

Scritto da Heidi Zorzi

Diventare Mental Coach, mi ha aiutato a comunicare con i miei figli, con i miei allievi, in modo sempre più chiaro ed efficace, e aiuta loro a sviluppare autostima, motivazione, consapevolezza, che sono condizioni importanti sia nello sport, sia, soprattutto, nella vita.

30 Gen, 2021

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